Il brigantaggio

Aldo Tota
Prove di ribellione organizzata al potere costituito.
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Con la grande impresa dell’Unità d’Italia ritornarono in maniera macroscopica tutti i gravi problemi di un’Italia socialmente ed economicamente arretrata, in particolar modo il malessere si avvertì improvviso e forte nel Meridione. Tra i  fenomeni che prima paralizzarono il neonato Regno d’Italia e,  quindi, lo impegnarono a fondo per circa un decennio (1860-70), ricordiamo il brigantaggio.

Non nuovo in Italia ma soprattutto nel Meridione, il brigantaggio aveva già sperimentato la sua prima apparizione sulla scena politica italiana nel 1799, allorchè il famigerato Cardinale Ruffo aveva arruolato ed organizzato le bande di briganti del Regno per combattere la Repubblica Partenopea nel segno di un ritorno borbonico al potere. Sono  tristemente leggendarie le nefandezze del rappresentante  della Chiesa .” A quelle orde inferocite e aizzate contro la borghesia liberale, il cardinale Ruffo diede l’ordine di assaltare borghi e città , sempre autorizzando il saccheggio. Sulle stragi il cardinale impartiva la benedizione divina, impetrandola con messe solenni e Te Deum” (A, Lucarelli). Fu poi la volta di Ferdinando IV il  Borbone ad organizzare, con gli inglesi  ed un esercito dei peggiori briganti (Fra’ Diavolo, Mammone, Pansanera, Sciabolone ed altri), il suo ritorno sul trono del Regno delle due Sicilie. Il brigantaggio continuò endemicamente ad esistere nel meridione ed in Puglia, strutturato in centinaia di bande che scorazzavano per le campagne ed i boschi pugliesi, in un avvicendarsi confuso di rivendicazioni, atteggiamenti populistici e strumentalizzazioni (come nel  caso dei sanfedisti) ; essi rappresentarono il frutto del malgoverno di secoli che si riversava sulle classi popolari e che partoriva dalla povertà e dalla disperazione, ribellione e una sorta di  atteggiamento anarchico.

Le loro vicende ed i loro comportamenti, per molti versi simili a quelli della guerriglia, non ebbero alcun fondamento  teorico organizzato, per cui si limitavano ad azioni di assalto alle proprietà dei “galantuomini”, cioè di quelli che avevano, in quest’ultima fase della storia, fatto prevalere il potere economico, vanificando i tentativi di riforma attuati (vedi il decennio francese e le riforme mirate ad eliminare i residui feudali sulla proprietà terriera). Così dopo l’Unità, pur se confluirono in esso diverse motivazioni tra le quali i tentativi di restaurazione borbonici e clericali, il tema fondamentale fu quello di un deciso e disperato tentativo dei contadini di opporsi ad un nuovo ennesimo scenario  (quello del Regno Sabaudo) che, alla resa dei conti, si sarebbe concretizzato in un rafforzamento del potere economico e politico dei possidenti, ora garantiti dallo stato unitario.

Uno dei briganti che imperversò  nel nostro territorio, dal 1815 in poi,  fu il Vardarelli. Questi si aggirava con grande abilità nei territori di Corato, Minervino e Andria, stazionando prevalentemente tra i boschi  del Castel del Monte che gli offrivano rifugi, numerose masserie da depredare e agili vie di fuga.Il suo, con quello di altri briganti (Negro, Greco, Colangiuri) fu un periodo talmente intenso  e  fortunato che lo stesso Ferdinando I (un tempo alleato interessato) fu costretto a varare l’istituzione di commissioni speciali  e di grosse taglie sulla cattura dei capi.

Il Vardarelli ebbe proprio a Castel del Monte uno scontro cruento con le forze governative. ”La forza pubblica di più colonne, riunita nel tenimento di Andria, ha avuto col Vardarelli un vivo e sanguinoso impegno il di cui risultato accresce la temerarietà e la superbia dei fuoriusciti. Tutte le notizie combinano a far credere che dopo molte ore di fuoco la truppa si sia data indietro, lasciando campo ai briganti d’inseguirla e farne strage”(dal rapporto del giudice di Andria al Ministero di Grazia e Giustizia).  I governanti  stigmatizzarono il comportamento di indifferenza  di coloro che “”avrebbero il maggior interesse nello sterminio di quest’orda devastatrice”, cioè dei proprietari terrieri, verso i quali in definitiva si rivolgeva l’azione brigantesca. Si decise quindi di far stazionare le milizie permanentemente tra le masserie di Montecarafa,  Montegrosso e Tupputi.

Di quest’ultima e dell’assalto subito, si hanno notizie dal rapporto del giudice De Matteis inviato nel  febbraio del 1817 al Procuratore della Gran Corte di Trani. Vale la pena rileggerlo per capire i comportamenti (anche se descritti unilateralmente) :””Dopo essersi ristorato con i suoi compagni, il Vardarelli fa un giro per la masseria :s’informa sul trattamento che  verso i  campagnoli (i braccianti della masseria) usavano i padroni e nel partirsene a cavallo chiamò il massaro e ordinò che all’istante si fosse distribuito un perrozzo di pane di un rotolo e mezzo , e a questa distribuzione che ascendeva al numero di 100 , non essendosi potuto momentaneamente fare per tutti, perché mancò il pane, Don Gaetano Vardarelli impose al massaro che avesse adempiuto il giorno appresso al resto della distribuzione; altrimenti al suo ritorno , uno di questi operai che non avesse avuto il pane, lo avrebbe massacrato come fece a due massari di altre masserie”.

Il Vardarelli fu ucciso il 9 aprile 1818, colpito in una imboscata in un paesino del Molise, tradito dalla promessa di condono in cambio del disarmo. La fine per  tradimento sarà una costante per quasi tutti i  capi briganti così come si vedrà nel seguito

Riferim. Bibl. e documentali
A. Lucarelli –Il brigantaggio politico del Mezzogiorno 1815-1818. Laterza Bari 1946
Archio di Stato di Trani e Barletta
P. Tandoi –Briganti di Corato.Cronache 1806-1865.Corato 1994
E. Corvaglia –dall’Unità alla 1^ guerra mondiale, in Storia della Puglia-Adda, Bari 1979 

venerdì 15 Giugno 2012

(modifica il 6 Febbraio 2023, 9:19)

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