il racconto

19 anni dalla strage di Nassiriya. Il ricordo della sorella del superstite Riccardo Saccotelli

Michele Lorusso
Michele Lorusso
Riccardo Saccotelli e la sorella Laura
Sulle responsabilità di quell’episodio non si è fatta ancora luce, ed è per questo che oggi più che ricordare quanto accaduto sarebbe necessario interrogarsi e chiedere verità sui fatti e sulle persone per rendere giustizia a chi ha perso la vita per difendere la propria patria
1 commento 1939

Oggi ricorre il 19esimo anno dalla strage di Nassiriya. Un evento che ha segnato il nostro Paese. Sulle responsabilità di quell’episodio, ancora oggi, non si è fatta luce ed è per questo che nella giornata odierna, più che ricordare quanto accaduto, per onorare le vittime sarebbe necessario interrogarsi e chiedere verità sui fatti e sulle persone, altrimenti non si renderà mai giustizia a chi ha perso la vita per difendere la propria patria e “costruire la pace”.

Noi vogliamo ricordare quella giornata con il racconto della sorella dell’andriese Riccardo Saccotelli che ha vissuto in prima persona quanto accaduto e che continua a lottare per la verità.

«Era la primavera del 2003 – ci racconta Laura – e mio fratello Riccardo era in licenza. Un giorno, all’ora di pranzo, riceve una telefonata dalla sua caserma. Era la richiesta di disponibilità per la missione in Iraq. Lui accetta subito ed io incomincio a piangere pensando a come sarebbero passati tutti quei mesi senza il mio fratellone che solo qualche mese prima era tornato dal Kosovo.

Avevo 13 anni, ma quel fratello per me era tutto e ogni giorno lontano da lui era un’eternità.

Il 19 ottobre 2003 (giorno del mio onomastico) io festeggiavo con la mia famiglia la Cresima e Riccardo non c’era, stava prendendo il volo che lo avrebbe portato in Iraq. Qualche mese prima mi aveva regalato uno dei primi modelli di videofonini (cose UFO per oggi), grazie al quale abbiamo potuto fare una videochiamata per sentirci più vicini.

Nei giorni successivi al suo arrivo in Iraq ci siamo scambiati qualche messaggio e mio fratello aveva espresso il desiderio di voler fare un piccolo presepino nella sua stanza (come era solito fare ogni anno), così mi attivo per cercare delle miniature e fargli recapitare un pacco. Tra i messaggi, lui mi lascia l’indirizzo con tutti gli estremi della sua missione in modo da essere sicuri che il pacco arrivasse nel posto giusto.

Non trascorre neanche un mese dalla sua partenza. Sono le 13:00 di quel mercoledì 12 novembre 2003, sono a scuola e ho la sesta ora di educazione artistica. Sono seduta al mio banco intenta a disegnare quando in aula entra la bidella e mi chiede di affrettarmi ad uscire perché mia sorella era venuta a prendermi prima (cosa mai successa fino a quel momento). Arrivo in atrio e per l’agitazione non riesco ad aprire neanche la porta dell’uscita e mia sorella mi dice che dobbiamo affrettarci a tornare casa perché papà ha la febbre e le ha chiesto di venirmi a prendere (non ci ho mai creduto a questa scusa). Arriviamo a casa e vedo mio padre sconvolto, in piedi accanto al telefono che cercava di mettersi in contatto con la Farnesina.

La TV è accesa e scorrono i tg, in sovraimpressione ci sono i numeri della Farnesina (a cui non risponde nessuno). A casa ci sono le mie due sorelle, papà e mia nipote più grande che all’epoca aveva qualche mese. Tutti piangono e nessuno mi spiega quello che sta succedendo. Lo capisco da sola ascoltando il tg.

Con una strana calma accendo il telefonino e non trovo nuovi messaggi di mio fratello. Allora decido di scriverne uno. “Riky, qui sono tutti agitati per quello che è successo, ma io so che tu stai bene, appena puoi scrivimi”.

Nel frattempo torna a casa mamma dal lavoro e appena appresa la notizia inizia a urlare chiedendo aiuto e battendo la testa al portone. Nello stesso momento, la nonna Rita è per le scale e straziata dalla notizia inizia a rivolgere preghiere a nonno Cosimino (morto un anno prima). Gli chiede di portare in salvo quel nipote che loro hanno cresciuto come figlio.

Nel frattempo casa è diventata un porto di mare, è un via vai di parenti, di conoscenti e mentre le ore passano, di mio fratello non si sa ancora nulla.

È il primo pomeriggio e arriva quello squillo di telefono, prende la telefonata mamma, è Riccardo che dice “mamma sono vivo, ma purtroppo non sento più niente”. Mamma piange e mi passa la cornetta ed io con il cuore pieno di gioia dico che il nonno è andato davvero a salvarlo. Riccardo le mie parole non è riuscito a sentirle, ma sono convinta che sia andata così. Dopo la chiamata di Riccardo, finalmente ci risponde la Farnesina ma non sa dirci molto, solo che Riccardo riporta gravi ustioni (cosa non vera) e ci invitano a chiamare alle 20.

Arriva sera e le istituzioni si presentano a casa. Prima il sindaco a cui mia madre vieta l’ingresso e poi il capitano dei Carabinieri (Goriziano) di servizio ad Andria e un autista. Mamma accetta che loro entrino, altrimenti secondo lei farebbe un torto a Riccardo. Anche loro di mio fratello non sapevano nulla.

Arrivano circa le 22 e ci arriva una chiamata, è la caserma di Gorizia che ci avvisa della presenza di Riccardo in quella base e niente di più. Dalla sera ai giorni successivi c’è la corsa a registrare i tg e a ritagliare i trafiletti di giornale.

Alle 8 e alle 20 c’è l’appuntamento telefonico fisso con la Farnesina, si attende il bollettino sullo stato di salute di mio fratello.

Dopo 3 giorni Riccardo viene trasferito all’ospedale militare di Roma e i miei genitori partono per incontrarlo. Io purtroppo no perché non abbiamo ottenuto il permesso.

Trascorrono circa 2 settimane dal mio incontro con Riccardo. È una mattina presto, io e mia nonna veniamo svegliate dalle urla di mia sorella e dei vicini, Riccardo è tornato ad Andria e io non ho potuto neanche abbracciarlo perché le costole sono doloranti e sotto le braccia ha dei tagli dovuti al giubbotto antiproiettile.

Questa è la storia nei minimi dettagli dei miei ricordi di quei giorni, sono indelebili le immagini, le sensazioni e le emozioni. Questo per Riccardo è diventato il giorno della sua rinascita, della sua nuova vita e della sua lotta alla sopravvivenza. Proprio così, lui da quel giorno non vive, ma sopravvive facendo i conti con i ricordi, l’amarezza e la forte rabbia. E io da 18 anni sono consapevole di aver perduto quel fratello spensierato e di aver trovato un fratello che è dovuto diventare adulto troppo in fretta e che non smetterò mai di ammirare».

sabato 12 Novembre 2022

(modifica il 20 Settembre 2023, 20:49)

Notifiche
Notifica di
guest
1 Commento
Vecchi
Nuovi Più votati
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
carbutti vincenzo
carbutti vincenzo
1 anno fa

Laura, che spettacolo questa tua lucidissima ricostruzione 🙂
Un abbraccio a te e al mio amico Ricky