L'approfondimento

Condotte alimentari tra disturbo e scarso riconoscimento

Saverio Costantino e Marilù Liso
Saverio Costantino e Marilù Liso
disturbi alimentari
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“Ero nel bel mezzo di una guerra: io contro me stessa”
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Sempre più l’attenzione alla forma fisica, alla ricerca ossessiva di alimenti sani (ortoressia), alla scoperta di una dieta che ci faccia sentire in perfetta forma, rendono labili i confini tra ciò che non è dannoso per la salute e ciò che si caratterizza come un disturbo.
Il controllo del peso, il controllo ossessivo dei cibi e delle loro quantità, lo specchiarsi continuamente, oggi sostituito dai selfie, si uniscono a tanti altri segnali, come quello di vomitare o l’uso di lassativi o, ancora, un’attività fisica spasmodica (vigoressia) che mira esclusivamente ad accelerare la perdita del peso ponderale. A tutto questo aggiungiamo “il peso” delle emozioni, legato alla difficoltà di esprimerle.

Stiamo parlando dai disturbi del comportamento alimentare, l’anoressia o la bulimia o il disturbo da alimentazione incontrollata.
Riconoscere un disagio spesso deve prima di tutto partire dal combattere la negazione dello stesso che ci rende miopi o ciechi. Troppo spesso il problema viene minimizzato, riducendo per esempio il dimagrimento eccessivo ad una temporanea crisi adolescenziale. Tutto questo però può costare tempo prezioso.
Il disturbo interessa maggiormente donne in età adolescenziale o giovanile, ma non ne sono esentati maschi o donne in età ben oltre l’adolescenza, anche se atipica, oggi la si osserva anche in età adulta. Molto spesso i confini della diagnosi si allargano, ma non si svaniscono. Intervenire tempestivamente è fondamentale per ridurre al minimo tutte le conseguenze che purtroppo ne derivano. Si crea una sorta di corto circuito tra corpo, cibo e mente. Come intervenire allora?

Intervenire a supporto, sicuramente, questa è la strada. Nella nostra pratica clinica avere il giusto tempo per non sentirsi minacciati dal peso che va al di sotto della norma, dalle complicanze organiche che ne conseguono,  ci consente di impostare un lavoro su misura che tenga dentro tutta la famiglia sempre.  I rapporti con i genitori sono spesso gestiti con reazioni fortemente irritanti, i familiari percepiscono la propria figlia/o come un orribile tiranno, sempre pronto a giudicarli, a punirli e a metterli l’uno contro l’altro, lì dove ci sono già problematiche di coppia.

Nella nostra pratica clinica non è infrequente sentirsi dire dai genitori “ non è più nostra figlia, non la riconosciamo più”. Anche il contesto sociale e amicale, con cui la persona condivide la vita relazionale è importante che venga coinvolto, ammesso che una vita relazionale riescano a conservarla ancora, dato l’isolamento in cui spesso si chiude chi ne è affetto. Per intenderci, contemporaneamente alla famiglia, gli amici sono attori protagonisti del copione,  perché imparino come presidiare senza giudicare, guidare senza sentirsi fuori luogo, magari senza un luogo, perché comprendano come entrare in questo mondo esclusivo, escludente e totalizzante.

I risultati di un buon lavoro psicoterapico e medico, magari con inserimento di una valida terapia farmacologica dove necessaria, si uniscono sempre alla presenza del nutrizionista che accompagna il paziente nel viaggio di riscoperta del cibo come qualcosa di non nocivo.
Si tratta di un importante lavoro sistemico che tende ad occuparsi, oltre che del paziente, anche delle dinamiche familiari “disfunzionali”, permettendoci di andare oltre l’anoressia o la bulimia, sottolineando sempre e comunque che nessuno dei familiari deve sentirsi la causa della malattia stessa. Non ci serve un colpevole, ci serve un aiuto da parte loro.
I risultati sono, nel nostro lavoro di equipe quotidiano, molto buoni se si recupera un lavoro di sistema e se con la famiglia, con tutti i suoi pregi e difetti, si individua repentinamente il modo di “unire le forze” per aiutare la propria figlia/o. Quando la paziente designata entra  finalmente in area salva, nella nostra attività clinica diventa per noi una sorta di co-terapeuta, una super esperta, perché nessun altro può farlo meglio.

“ Non riesco a parlare, non riesco neanche a muovere le labbra per poterlo fare, ma dentro ho un terribile mostro che strilla e io mi sento in guerra” , questo ci rivelò una paziente che adesso è una splendida mamma serena. E si, perché quel mostro siamo riusciti a combatterlo insieme a lei. Non ci sono mai certezze nel nostro lavoro, forse è questa l’unica certezza! Prendersi cura, però, della persona in tutta la sua totalità, prima ancora che della sua malattia, ci permette di vincere sempre, come diceva Patch Adams.

venerdì 23 Dicembre 2022

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