L'approfondimento

Tra intelligenza artificiale e ottusità umana: il paradosso del progresso

Geremia Acri
Geremia Acri
intelligenza artificiale
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Quando l’individuo smette di vedere l’altro, è capace delle più grandi atrocità. E quanto più crea, tanto più grave sarà rispetto alla precedente
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L’epoca odierna è stata definita in diversi modi: età della tecnica e post-modernismo tra le tante. Sono di solito espressioni finalizzate a rappresentare un mondo dove il progresso tecnologico e la complessità delle strutture fanno da padrone nella realtà quotidiana delle persone e dei gruppi. Per quanto vere e condivisibili possano essere, si è forse sottovalutato il peso dell’umano. Nell’era dell’intelligenza artificiale, è stata dimenticata l’intelligenza emotiva.

Abbiamo dato per scontato e per acquisito il fatto che, in quanto esseri umani, siamo padroni di tutto. Siamo i responsabili dell’evoluzione, siamo i protagonisti del progresso. È grazie all’uomo se oggi siamo capaci di inventare ed utilizzare strumenti sempre più sofisticati, immaginare scenari prima impensabili, comprendere passo dopo passo le leggi che governano un universo infinito. Siamo, tuttavia, anche quelli che lo stesso mondo lo stanno conducendo al declino, a volte pare senza via d’uscita.

È sempre stato così: bene e male, luce e buio, amore e odio. Come individui siamo fatti di binomi indissolubili che ci accompagnano per tutta l’esistenza. Ed è anche per questo che siamo diventati animali sociali, perché la condivisione ha una potenza d’animo superiore a qualunque minaccia di divisione. Dovremmo essere così perché la memoria e la capacità di tramandare questi insegnamenti è ciò che ci distingue dagli altri esseri viventi. Eppure, tendiamo a dimenticare in fretta, e ad abbandonare ancora più velocemente.

Abbiamo scelto l’oblio per errori, violenze, carestie, guerre, distruzioni, genocidi, olocausti. Abbiamo ripudiato tutto. O forse, ed è ben peggiore, abbiamo scelto consapevolmente di non ricordare, di rivivere ogni passo della storia cambiando solo i protagonisti. Ci raccontiamo la novella del gentil progresso mentre attorno tutto crolla.

Il dubbio permane: è realmente progresso se le guerre si moltiplicano, ma intanto ci complimentiamo con noi stessi per aver creato un nuovo strumento per le nostre zone di comfort? La scienza ha fatto tanti passi in avanti, ma dubita di sé ogni qualvolta utilizzata per implementare armi sempre più pericolose. E la scienza è fatta di uomini e donne, è fatta da noi. Se riusciamo ad utilizzare un mezzo per il peggior fine possibile non stiamo progredendo, ma stiamo costruendo la nostra stessa fine.

In un mondo che elogia la tecnica le emozioni sono passate di moda. La collettività, la comunità, sono relegate a piccoli esempi che non riescono più ad imporsi come regola di vita universale, perché sono gli egoismi a padroneggiare. E anche qui la storia è la medesima: quando l’individuo smette di vedere l’altro, è capace delle più grandi atrocità. E quanto più crea, tanto più grave sarà rispetto alla precedente.

Si può quindi davvero chiamare progresso un oggi fatto di urlatori, calpestatori, guerrafondai, bugiardi patologici? Dilemma complesso, se il parametro di valutazione non comprende più l’umano. Abbiamo dato noi stessi per scontati, quasi come se l’amore per l’altro, la meraviglia, lo stupore dello stare insieme e crescere fossero dati e finiti, quando in realtà durano tutta la vita.

Forse, l’intelligenza artificiale, oggi, serve a ben poco. C’è bisogno di umanità, perché è con quella che si compiono i miracoli più grandi, i progressi più significativi, le rivoluzioni più longeve. In un mondo pervaso dalla tecnica e dall’oblio del dolore, amare è la vera rivoluzione.

domenica 7 Aprile 2024

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