Cultura

​Campagne sicure

Vincenzo D'Avanzo
La fortuna cammina con le gambe degli uomini, cresce con le loro braccia, obbedisce al loro cervello e si appassiona al loro cuore
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Au pogg le due guardie campestri avevano acceso il fuoco per scaldarsi. Faceva proprio freddo quel giorno di fine novembre: avevano inforcato la bicicletta all’alba con un po’ di nevischio, poi una pioggerellina fine. Solo verso mezzogiorno era uscito un pallido sole ma non sufficiente a intiepidire l’aria. Avevano girato in lungo e largo la porzione di terreno loro assegnata e ora si erano fermati per riposare e rifocillarsi un po’. C’era poca gente quel giorno in campagna e comunque i contadini sapevano dove rintracciarli in caso di necessità. La loro costante presenza sul territorio dava sicurezza. Oltretutto i mezzi di locomozione allora erano tali che non consentivano rapidi spostamenti e quindi anche i furti durante il raccolto, quando c’erano, erano pur sempre di scarsa entità e spesso avvenivano proprio mentre si stavano raccogliendo le olive se qualche sacco veniva trascurato. I furti più frequenti erano invece proprio quelli degli stessi operai che a volte nascondevano nel terreno qualche chilo di olive per passare dopo a riprenderle. Ma era poca roba e molte volte dimenticavano pure dove le avevano lasciate e capitava solo con i grossi proprietari perché i piccoli le raccoglievano con i familiari e quindi il problema non si poneva.

Premurose le mogli delle due guardie avevano preparato un po’ d diavlicch che avevano messo in una mezza pagnotta dalla quale era stata asportata la mollica che era stata utilizzata poi come tappo. Al poggio le guardie tenevano nascosto un fiaschetto di vino rosso utile per riacquistare calore nel periodo invernale.

Stavano finendo di mangiare quando a mizz a mizz videro arrivare don Carluccio, un ricco proprietario della zona. Si sedette anche lui, bevve un bicchiere di vino che le guardie avevano offerto e quindi li avvisò che il lunedì successivo avrebbe cominciato a raccogliere le olive. L’avviso serviva perché le guardie intensificassero la vigilanza nei pochi giorni precedenti e che stessero attenti nei giorni del raccolto onde evitare che qualche malintenzionato si avvicinasse troppo ai sacchi. “Don Carlù, dissero le guardie, non ti preoccupare, è nostro interesse. Il nostro posto dipende anche dal fatto che non ci siano furti nella nostra zona”. Infatti le guardie erano impegnate in una specie di gara tra loro. Il che tranquillizzava i proprietari.

Subito dopo don Carluccio si avvicinò alla stradina di campagna dove stava arrivando il figlio con u scirabbè che lo avrebbe portato in Andria.

La domenica sera don Carluccio mandò il figlio alla port la varr a prmmett gli operai. C’era un gruppo di operai che lavorava sempre con don Carluccio, ma ora ne servivano altri per spostare r racn i carrscè l sacc. Servivano poi un po’ di ragazzini per raccogliere le olive da terra e per lo stesso lavoro don Carluccio aveva chiesto agli operai che se volevano avrebbero potuto portare le mogli o le figlie. La presenza femminile era utile per la raccolta ma anche per tenere a freno la lingua degli operai. Sei furono i ragazzini prescelti: dovevano precedere e seguire le reti: era il compito più gravoso e ci volevano ragazzini piccoli di statura, nemmeno un’oliva doveva andare perduta. I ragazzini avevano lasciato in pegno u panaridd e dovevano avvisare i genitori che si tornava il sabato successivo. Non era molto lontano il terreno, ma siccome c’era una grande masseria era possibile dormire in campagna in modo da sfruttare la giornata dall’alba al tramonto.

Alle tre del mattino di lunedì tutti davanti alla porta della casa di con Carluccio. Furono fatti salire su tre traini e via verso la campagna. Faceva freddo, gli adulti si coprirono con il pastrano, i piccoli invece si infilarono sotto le reti e lì si addormentarono. Arrivati in campagna i grandi accesero un bel fuoco per riscaldarsi. Attorno al fuoco tutti mangiarono quel poco che si erano portati da casa. Appena l’alba rischiarò gli alberi i primi a partire furono i ragazzi. Loro il compito di raccogliere le olive che erano cadute perché non fossero pestate dagli uomini e dalle reti. Dovevano fare presto e nello stesso tempo pulire per bene. Però a quell’ora la chtroit (la brina) oltre a rendere ghiacciata l’erba bagnava le mani che si congelavano per cui il lavoro veniva rallentato perché dovevano sfrclè le mani addosso ai vestiti di lana. Il fattore, che era il responsabile del raccolto e che doveva misurare la velocizzazione del lavoro, distribuì ai ragazzi una pietra bollente tolta dal fuoco, che messa in tasca consentiva ai ragazzi di riscaldare velocemente le mani. I poveri ragazzi spesso erano condannati a trovarsi con r’ sèrchij a r’ desctr. Liberato il terreno dalle olive i ragazzi dovevano tornare indietro per raccogliere quelle cadute fuori dalle reti. Insomma ai ragazzi spettava il lavoro più pesante i avevna fè all’angrapoit e il fattore spesso li costringeva a gareggiare tra loro. Uno dei più benvoluti era un certo Nicolino che non parlava mai ma era molto veloce e nello stesso tempo non lasciava nulla. Il fattore lo prese a simpatia e il sabato, al momento della paga, gli dava qualche lira in più rispetto agli altri per indurre anche questi a lavorare come lui. Invano gli altri ragazzini cercavano di costringerlo a rallentare il passo, ma a Nicolino quei pochi soldi in più servivano per comprare i libri perché lui, dopo la campagna delle olive, voleva tornare a scuola. Una sera i compagni avevano preso una lucertola, la chiusero in un panno che misero parzialmente sotto una pietra. Dopo la misera cena fatta di una zuppa di fagioli rossi, operai e ragazzi si sdraiarono in un ambiente grande dove erano stati realizzati dei giacigli di paglia per terra. Appena Nicolino si era addormentato i compagni liberarono la lucertola sotto il suo giaciglio. La lucertola si insinuò tra i vestiti del ragazzo che si spaventò non riuscendo più a dormire la notte. La speranza degli altri ragazzi era che Nicolino arrivasse stanco e assonnato al mattino e quindi non rendesse sul lavoro. Ma il ragazzo fece richiamo a tutte le sue forze e si comportò come al solito. Quando lo seppe il fattore lo premiò con un po’ d’olio sui fagioli e facendolo dormire nella stanza sua.

Il lavoro degli adulti non era molto più leggero: essi dovevano salire e scendere dall’albero a pdchè perché le verghe si usavano solo per i rami più alti per evitare che le olive si rompessero o andassero a finire lontano dalle reti. Alla fine della settimana Nicolino ebbe il solito premio mentre gli altri ragazzi furono licenziati e sostituiti la settimana successiva da altri. Il fattore apprezzava sempre di più il comportamento di Nicolino e una domenica si presenta alla casa del ragazzo con un piatto di dolcetti che la moglie aveva preparato. I genitori di Nicolino lo accolsero con piacere anche se mortificati per non avere nulla da offrire in cambio. Il fattore poi chiarì il motivo della sua visita: raccontò che lui era senza figli, aveva saputo da Nicolino che lui era il primo di cinque fratelli ed era lì per dire che era pronto ad adottare quel ragazzo bravo e educato se chiaramente i genitori fossero stati disponibili. Era il modo naturale in cui prima si risolveva il problema della mancanza di figli.

La prima reazione dei genitori fu di netto rifiuto. E’ vero c’erano altri quattro figli, ma le mamme sanno che ogni figlio è un pezzo di cuore. Per questo la mamma chiarì subito il suo pensiero: nan s n parl propr. Il padre invece compì un errore strategico. Anche lui disse un no chiaro e tondo, ma poi aggiunse: io non sto troppo bene per cui vado a lavorare quando posso: u mninn abbsogn p prtè colchi sold. Gli altri figli erano troppo piccoli.

Il fattore non insistette, però disse al padre del ragazzo che avrebbe parlato con il padrone. Il padre non ne capì il senso e comunque non fiatò. La settimana successiva Nicolino fu coccolato dal fattore, lo faceva riposare quando lo vedeva stanco, lo faceva mangiare con sé la sera, lo faceva dormire vicino a lui ecc.

Un giorno gli operai avevano lasciato involontariamente un sacco indietro non visibile in mezzo agli alberi. Nicolino, che lavorava curvo per terra intravide lontano il sacco ma vide anche che un uomo stava cercando di caricarselo sulle spalle. Il ragazzo avvisò subito il fattore che immediatamente provvide a mandare due operai per recuperare il sacco pieno. Operazione riuscita anche se il ladro ebbe modo di fuggire. Ma non fu fortunato perché le guardie campestri riuscirono a bloccarlo mentre cercava di nascondersi. Quando il giorno dopo arrivò don Carluccio il fattore raccontò l’episodio elogiando il comportamento del ragazzo. Durante la pausa pranzo il fattore e il padrone parlarono a lungo tra loro. Il sabato pomeriggio Nicolino e il padre andarono alla casa del fattore per riscuotere la paga. Il fattore li fece aspettare sino alla fine e quindi si fermò a parlare con il padre di Nicolino. Raccontò anche al padre l’episodio facendo i complimenti per quel ragazzo sveglio, che egli era sempre interessato alla proposta fatta, che aveva parlato con il padrone ottenendo la possibilità che il padre di Nicolino facesse il guardiano alla masseria dove poteva andare ad abitare con tutta la famiglia. Il padre capì che quella poteva essere la fortuna sua e della famiglia e si fece tentare dalla offerta del fattore. Assicurò che ne avrebbe parlato con la moglie, anche se sapeva che convincerla sarebbe stato duro.

Al ritorno a casa il padre di Nicolino ne parlò con la moglie, la quale prima resistette alla offerta, ma poi lentamente coglieva tutte le occasioni per tornare a parlarne fino a quando trovarono la quadratura del cerchio: per tre anni Nicolino sarebbe stato libero di stare nella casa originaria o in quella del fattore, passato quel tempo se ne sarebbe parlato di nuovo. Per facilitare la cosa il fattore chiese al padrone se anche lui poteva trasferirsi nella masseria: essendo questa abbastanza grande c’era posto per due famiglie. E così fu: entrambe le famiglie coccolavano Nicolino che intano cresceva sano e robusto. Era diventato un bravo operaio: aveva imparato benissimo a vivere in campagna e a svolgere tutti i lavori necessari per portare avanti una grossa azienda agricola. Tuttavia dovette abbandonare la scuola e il suo desiderio di sapere lo portava a leggere qualunque cosa.

Quando il fattore diventò anziano (Nicolino viveva praticamente con lui) fu proprio il figlioccio a prendere in mano le redini dell’azienda, grazie anche alla stima che nei suoi confronti aveva il figlio di don Carluccio, che intanto era morto a causa dei calci ricevuti dal cavallo imbizzarrito. Sia pure con qualche differenza di età tra i due giovani l’intesa era perfetta tanto che il figlio di don Carluccio affidò a Nicolino la gestione di tutti i suoi poderi. Quando il nuovo padrone si rese conto che con Nicolino la produzione era aumentata significativamente lo volle coinvolgere direttamente nella gestione attribuendogli come premio il 10% del prodotto. Fu la fortuna di Nicolino che gli consentì di sposare i fratelli e le sorelle e assicurare una buona vecchiaia ai suoi genitori. Quelli adottivi stavano bene finanziariamente, tuttavia si godettero una bella vecchiaia all’aria pura della campagna in armonia con la famiglia di Nicolino, che fu nei loro confronti sempre attento e pieno di cure. Quando entrambi i genitori adottivi morirono Nicolino si trovò con una bella proprietà terriera accumulata negli anni facendo il fattore. La fortuna cammina con le gambe degli uomini, cresce con le loro braccia, obbedisce al loro cervello, si appassiona al loro cuore.

domenica 3 Dicembre 2017

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