Cultura

Don Vincenzo Labriola: il prete che parlava al cuore

Vincenzo D'Avanzo
Racconti dal silenzio. A 12 anni dalla sua scomparsa, il ricordo
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Come l’anno scorso nel mese di novembre i “racconti della domenica” rievocheranno personalità pubbliche che hanno contribuito a fare grande la nostra città.

Il racconto del prete che parlava al cuore

Quel giorno Giuseppe aveva una partita di pallone organizzata da tempo. La disdettò perché per lui era più importante il funerale. Infatti nella chiesa della SS. Trinità si celebravano le esequie del prete del sorriso. Un epiteto non stereotipo. Don Vincenzo Labriola era morto in un incidente stradale mentre sorrideva con un gruppo di altri sacerdoti di ritorno dagli esercizi spirituali: era andato a ricaricare le batterie per essere sempre pieno di energie per rispondere alle mille domande che ogni giorno riceveva. Volò in cielo perché aveva le batterie cariche.

La chiesa era stracolma e straripava dai portoni verso i piazzali esterni. Però Giuseppe ebbe una sensazione strana: tutte quelle persone non formavano una folla come quella che si muove confusamente nelle occasioni importanti. Era una aggregazione di individui, ognuno con la propria storia: ciascuno era lì per un motivo speciale, come speciale era stato il rapporto con quel prete che quando parlava con te ti fissava negli occhi giungendo al cuore coinvolgendoti inesorabilmente. Da un uomo puoi ottenere tutto ma a condizione che capisca che è lui al centro dell’attenzione: se ti muore un figlio e tu per sentirlo ancora vivo costruisci una Chiesa è perché qualcuno ti ha fatto capire che nella vita nulla accade per caso e che il Padre non vuole mai il male dei propri figli. Difficile da recepire? Sì, a condizione che chi te lo suggerisce dimostri che ci crede veramente. Era così disarmante quel sorriso che solo da un animo sereno e fiducioso poteva scaturire. Ecco quella moltitudine di principi e principesse al funerale di un umile cappellano, forse non tanto amato da chi doveva ma tanto ricercato dal popolo.

Giuseppe durante tutta la cerimonia si interrogò spesso come il buon Dio stesse partecipando a quel rito, non riusciva a capire se era sull’altare dove si compivano gesti abitudinari o in mezzo a quella moltitudine ad origliare le mille storie che si raccontavano. C’era un brusio quel giorno in chiesa: ciascuno aveva qualcosa da raccontare al vicino di banco anche se sconosciuto. Invece sembrava che si conoscessero tutti perché tutti avevano vissuto la stessa emozione. Cecilia era una giovane studentessa, aveva sedici anni ma poteva raccontare la vita, di essa anzi aveva conosciuto solo la durezza. I giovani poi sono totalitari e Cecilia vedeva di fronte a se solo il buio. Un’amica di scuola le buttò un amo: c’è ad Andria un prete molto bravo a penetrare le anime. Brava l’amica, aveva colto l’aspetto più importante di don Vincenzo: se vuoi curare le anime devi specializzarti e aggiornarti sempre. Per questo egli si era laureato in pedagogia e psicologia. La conoscenza della teologia non era sufficiente per trasmettere la Verità.

All’inizio di novembre Cecilia si presentò alla Messa nella cappellina dedicata alla Madonna di Guadalupe: fu colpita da quell’atmosfera sacrale che si respirava a pieni polmoni e poi i silenzi che interrompevano le preghiere quasi a consentirti di digerire le parole appena pronunciate. E poi quella Comunione distribuita tra i banchi… (un giorno il narratore rimproverò don Vincenzo: “perché non aspetti che la gente venga a chiederti la comunione?” E lui: “l’amore di Cristo è impaziente, non sa aspettare, è Lui che va incontro”).

Alla fine della messa Cecilia si presentò in sacrestia, timorosa di creare disturbo. Ma appena don Vincenzo si girò e la vide disse:” buongiorno, principessina”. La ragazza si guardò intorno per vedere se c’era qualcun altro, poi si rese conto che c’era solo lei. Nessuno l’aveva mai chiamata in quel modo. Pianse. Don Vincenzo doveva andare via ma capì che la principessina aveva la precedenza su tutti gli altri impegni; dimenticò tutto e si mise in ascolto. In due minuti la ragazza raccontò tutta la sua vita mentre il prete coglieva le espressioni del volto man mano sempre più fiduciose. Alla fine le disse abbracciandola: “non avere paura, non sei mai sola”. Le disse poi che lui stava partendo per gli esercizi spirituali e che al ritorno l’avrebbe rivista volentieri. Don Vincenzo non tornerà più, ma quel fugace incontro fu sufficiente ad aprire nuovi orizzonti a Cecilia che ora Giuseppe vede piangere mentre sottovoce racconta le sue emozioni.

Al momento della Comunione la chiesa assunse sembianze diverse. Non era possibile tornare al proprio posto. Giuseppe si trovò come compagna di banco una coppia attempata. Dal loro parlare capì che non erano andriesi: “Siete venuti da fuori?” azzardò. “Non potevamo mancare, don Vincenzo ci ha ridato la vita”, cominciò a raccontare Sabrina. Gli disse che si era sposata con un altro che poi l’aveva lasciata con l’unico figlio piccolissimo. Una esperienza traumatica, disse lei. Sabrina era disperata sia per la situazione disastrosa dal punto di vista economico ma soprattutto sotto il profilo morale: a volte si sentiva di impazzire. Aveva dato tutto a quel matrimonio ricevendo in cambio mortificazioni a non finire. Lei sopportava tutto perché educata alla fede e trovava nella preghiera e, soprattutto, nel sacramento della Eucarestia la sua forza. Ora era venuto meno anche questo appoggio religioso perché, seguendo la sua educazione, sapeva che da separata non poteva più ricevere la Comunione. Situazione peggiorata quando aveva incontrato a scuola un collega con il quale decise di andare a convivere, il che creò scandalo nel suo paesino al punto che non andava più in chiesa.

Il suo cervello cominciava a dare segni di squilibrio quando le era capitato di leggere sul giornale della inaugurazione a Castel del Monte di una chiesa costruita da un imprenditore che aveva perso un figlio in un incidente stradale. Il giornale raccontava che don Vincenzo era stato molto vicino alla famiglia in quella tragedia fino a trasformare in atto di fede una grande sventura. Letta la notizia Sabrina disse al compagno che quel prete lo conosceva e che voleva incontrarlo. Era stata impressionata da quel prete in un corso di aggiornamento. Don Vincenzo li accolse nella sacrestia della chiesa di Santa Maria del monte. Stette due ore ad ascoltarli, dopo aver detto alla sorella di non disturbarlo. Capì il travaglio di due persone di grande fede alle quali sembrava mancasse qualcosa di essenziale.

Don Vincenzo quella sera parlò poco, ma i due si accorsero che nemmeno un sospiro era sfuggito al cuore di quel prete. Alla fine decisero di incontrarsi una volta alla settimana per approfondire il percorso e trovare risposte alle loro domande. La storia andò avanti per un mese: un dialogo fitto che si concludeva sempre davanti al Tabernacolo per una preghiera. Poi la sorpresa: don Vincenzo spiegò loro che il divieto di fare la comunione era una cosa seria ma si trattava pur sempre di una disposizione della Chiesa. In casi eccezionali il sacerdote può valutare le reali intenzioni dei fedeli e soprattutto le loro responsabilità. “Ci portò in chiesa – concluse il racconto Sabrina -, celebrò la Messa solo per noi e ci invitò a fare la Comunione. Alla fine ci raccomandò di farlo in maniera riservata, magari dove non si era conosciuti: la gente potrebbe non capire e rimanere scandalizzata. Per noi fu festa quel giorno e oggi siamo qui per dirgli grazie”. Sabrina e il compagno con il figlio ormai grande continuarono a recarsi a messa al Castello; tutti e tre tornavano a casa sempre sorridenti convinti ormai di essere principi di un regno dove l’amore prevale su ogni altra cosa.

Giuseppe raccontò loro che anche lui era lì, non per dire grazie a don Vincenzo ma per chiedere scusa. La sua era una storia diversa. Egli faceva parte di una banda di ragazzi di strada che a don Vincenzo dava fastidio presso l’oratorio di Guadalupe. Giocavano nei dintorni, a volte penetravano dentro, schiamazzavano durante le funzioni. “Don Vincenzo ci rimproverava, a volte era addirittura costretto a chiamare la polizia per allontanarci. Eppure ogni volta che ci incontrava egli ci invitava ad entrare, a sfuggire alla tentazione della droga, a stare lontani da certi figuri che ogni tanto si affacciavano. Abbiamo fatto insieme un tratto di strada anche se su marciapiedi diversi. Oggi sono qui per chiedergli scusa, ma anche per ricordargli che in fin dei conti anche noi gli facevamo compagnia ogni giorno, ora non si scordasse di noi”.

Quando la fede e l’umanità costruiscono gli angeli, principi del Regno.

domenica 4 Novembre 2018

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