Cultura

Il mistero della creazione: l’amore tra Giuseppina e Giovanni

Vincenzo D'Avanzo
A studiare la storia di Andria si capiscono molte cose di quello che si vende come nuovo
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C’era una volta un mondo più povero con meno carte (pochi sapevano leggere) e meno firme (pochi sapevano scrivere) ma più sereno, perché avevano anticipato carte e calamai con la stretta di mano. Qualunque fosse il contratto o l’intesa, bastava stringersi la mano sicuri del fatto che chi venisse meno, non avrebbe più fatto un contratto.

In alcuni comuni c’era la colonna infame (Bari) alla quale venivano legati gli inadempienti.

C’erano poi le intese sacrali ed erano quelle che si facevano con il buon Dio e, spesso, con la Madonna e i santi e si chiamavano “voto”: tu mi fai guarire e io vengo scalzo alla Madonna d’Andria. Il buon Dio, la Madonna e i santi ci stavano a questo baratto perché coglievano la buona fede dei fedeli e, soprattutto, la fiducia immensa con la quale le persone si affidavano a loro. Per questo il “voto” non si infrangeva per nessuna ragione al mondo.

Infine, c’erano le intese sul letto di morte (spesso sostituivano il testamento): in questo caso le volontà del moribondo erano vincolanti come il timbro del notaio.

Giuseppina era l’unica presente quando la mamma vedova esalò l’ultimo respiro. Poteva anche ignorare la volontà della madre, ma lo scrupolo non le avrebbe dato tregua. La mamma le aveva chiesto di badare ai quattro fratelli più piccoli e lei mantenne fede all’impegno allontanando di volta in volta quanti le chiedevano la mano.

Nella sua generosità aveva tranquillizzato la mamma che avrebbe preso il suo posto. E la mamma le aveva assicurato che avrebbe vigilato dal cielo. La poveretta voleva dire che avrebbe pregato per lei, Giuseppina aveva capito che si facesse garante dell’impegno.

Fu il più piccolo, quando arrivò il suo turno per sposarsi, a lanciare la sfida. Disse alla sposa che il giorno delle nozze il mazzo dei fiori doveva essere consegnato alla sorella: così avvenne e la sorella appese il bouquet a testa in giù perché i fiori seccassero ma non morissero. Ovviamente, nessuno pensava che quei fiori potessero rappresentare un presagio di future nozze. Ma la vita riserva sempre le sorprese.

Giuann era stato uno dei primi spasimanti che Giuseppina aveva respinto: erano cresciuti insieme perché abitavano a pochi metri di distanza. Quando Pinell gli disse che non aveva alcuna intenzione di sposarsi, lo fece con una frase contorta: “a maie tiue m pioic ma moue nan pozz”.

Giuann capì soltanto che Giuseppina non potesse e alla prima occasione si sposò con un’altra. Giuseppina non ci fece caso perché era troppo impegnata a fare da mamma.

Il matrimonio di Giovanni serbava una infausta sorpresa: dopo pochi anni la moglie morì e lui rimase solo e vedovo. L’elettrocardiogramma sentimentale di Giovanni era sempre più piatto. Ebbe un sobbalzo di vita quando seppe che anche Giuseppina era rimasta sola. Chiamò il fratello maggiore e gli diede un sacco d’amell a mddisk che teneva conservato per il Natale, pregandolo di portarlo alla sorella. Il fratello nel consegnarle il sacco aggiunse di suo: “crait ca t voul angour”. La sorella, che ormai alla soglia dei 40 anni aveva perso ogni speranza, ebbe anche lei un sobbalzo e cominciò a vestirsi come meglio poteva. Quando il fratello la vide ringiovanita pensò bene di accelerare gli eventi e così in pochi mesi i due piccioncini, alquanto cresciuti, convolarono a nozze e Giuseppina si sposò senza abito bianco e altri fronzoli, ma si presentò in chiesa con due coque, quello fresco per lei e quello secco per l’altare della Madonna.

Giovanni continuò ad andare in campagna per conto terzi dove rimaneva tutta la settimana e a volte anche 15 giorni. In pratica Giuseppina continuava a essere sola con l’aggravio di panni da lavare. Non le mancava niente, ma le mancava il marito.

Pazienta oggi e anche domani e alla fine in confessione raccontò al parroco la sua vita infelice: “ioiv meggh proim ca tnoiv tutt l froit att-rn”. Il prete non lasciò cadere nel vuoto la confidenza (di questo si trattava, non di peccato) e ne parlò con don Riccardo Zingaro perché trovasse una soluzione per i due infelici. Don Riccardo era il prete più impegnato nel sociale e i confratelli si rivolgevano a lui all’occorrenza.

Il caso (Provvidenza?) volle che, un paio di settimane prima, don Riccardo avesse partecipato al precetto pasquale celebrato da mons. Pirelli, presso la sede del Ente Meridionale di cultura dove si curava la formazione professionale dei ragazzi ma anche degli adulti.

Infatti, in quel momento (1954), si era creata una convergenza stellare favorevole per Andria.

Sindaco era il sen. Jannuzzi che, ovviamente, gestì l’amministrazione con il prestigio che aveva acquisito a livello nazionale come parlamentare e sottosegretario alla difesa. Era il tempo che ai disoccupati si offrivano i cantieri di lavoro ma anche la formazione. La storia insegna che quando emerge una personalità straordinaria anche chi gli sta vicino è trascinato a dare il meglio di sé. A distinguersi per l’impegno sociale non fu solo don Riccardo, ma anche il direttore del citato ente professionale, prof. Angelo Gazzilli. Così, accanto ai corsi normali, si misero in piedi due corsi per adulti (falegnameria e meccanica) rimasti disoccupati o in procinto di partire. Ai frequentanti veniva assicurato un assegno di 300 lire al giorno a cui si aggiungevano 60 lire ciascuno per moglie e figli (la giornata del bracciante era di 450 lire).

A studiare la storia di Andria si capiscono molte cose di quello che si vende come nuovo. Per capire l’originalità dell’iniziativa si pensi al gioco di squadra: Jannuzzi procacciava i cantieri, l’assessore ai lavori pubblici, il dott. Giuseppe Marano, riuscì a trovare nelle maglie del bilancio i soldi per pagare l’energia elettrica e quant’ altro necessario per tenere aperto anche di pomeriggio e poter soddisfare la domanda di formazione, Gazzilli mise a disposizione il personale, don Riccardo invogliava i braccianti a frequentare i corsi (Gazzetta del Mezzogiorno, 25.5.1954). Alla Provincia il vostro narratore imparò che se si hanno delle idee, realizzarle è sempre possibile. Il problema è averle. Allora c’erano. La villa comunale, l’ufficio del lavoro e la sistemazione delle strade furono fatti con i cantieri per disoccupati. Così si salvava la dignità dei lavoratori e si facevano le opere pubbliche.

Don Riccardo suggerì a Giovanni e Giuseppina di frequentare un corso per poi decidere se emigrare o cambiare mestiere. La proposta fu discussa in famiglia e alla fine decisero di percorrere l’avventura. Giovanni ce la mise tutta e alla fine ebbe i complimenti e fu lo stesso istruttore di falegnameria ad assumerlo nella sua “bottega”. Cominciò per la coppia una nuova fase della vita con una postilla non prevista: essendo tardi per Giuseppina ad avere figli, i fratelli facevano a gara per portare i propri. Così, anche la casa di Giuseppina fu arricchita dalla presenza dei piccoli che, come spesso accade, spostano l’attenzione dei grandi: una coppia senza figli finisce con il litigare, una coppia con i figli ha altro a cui pensare. Se al posto dei figli ci sono i nipoti fa lo stesso.

Lo diceva Jannuzzi: “il nonno gode del privilegio di giocare con i nipoti senza la responsabilità genitoriale”.

Ecco la dimostrazione che il mondo sia rotondo. Noi pensiamo di inventare qualcosa che, a ben riflettere, è stato già inventato. Questo è il mistero della creazione. Per capirlo bisogna guardare in alto, non per terra.

domenica 26 Maggio 2019

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