Attualità

Giovani eroi quotidiani, una ragazza di origini andriesi aiuta i bambini di strada in Africa

Lucia M. M. Olivieri
«Nuovi valori, nuovi punti di vista, nuove emozioni che ti fanno crescere umanamente e ridimensionano costantemente i paradigmi di quel mondo occidentale fortunato in cui siamo nati»
scrivi un commento 19372

Spesso si sentono pronunciare, dai migliori “benpensanti”, frasi come “aiutiamoli a casa loro” in riferimento ai migranti che arrivano in Italia: ebbene, ci sono storie di giovani eroi del quotidiano che si sforzano di andare controcorrente, di dedicare la vita al servizio degli altri e di dimostrare quanto si possa ricevere quando si dona. Questa è la storia di Sara Ben Rached, volontaria Caritas Gibuti, resa nota proprio sulla pagina della Caritas diocesana di Andria, diretta da don Mimmo Francavilla.

«Mi chiamo Sara Ben Rached, sono originaria di Andria, faccio parte della straordinaria famiglia di Caritas dal 2015 e da 4 anni vivo a Djibouti. Djibouti é un piccolo Stato del Corno d’Africa incastonato tra Somalia, Etiopia ed Eritrea e bagnato dal Mar Rosso, situato in una posizione strategica nel Golfo di Aden che lo rende di fatto un crocevia di culture e persone.

Sono arrivata in questo paese con il desiderio e la speranza di aiutare i bambini di strada, beneficiari del progetto Caritas e, soprattutto, con la voglia di mettermi alla prova per cercare di capire se la vita dedicata al servizio degli altri fosse realmente la mia strada.
Certamente non è stato facile, specialmente nei primi tempi, ambientarsi, sia per le severe condizioni climatiche dei mesi estivi (si arriva a oltrepassare i 50 gradi all’ombra), sia per il rischio di malattie trasmette dalle zanzare nel periodo invernale ma, soprattutto, per la atavica diffidenza della popolazione locale nei confronti di chi si offre di aiutare il prossimo.

Djibouti, pertanto rimane un paese pieno di contraddizioni, che nel bene e nel male cerca di perseguire un proprio sviluppo identitario. Se da una parte ti accoglie, dandoti la possibilità di lavorare senza tutte le pressioni che ci si aspetterebbe da un paese a prevalenza mussulmana, dall’altra è in grado di farti sentire costantemente un ospite straniero; se da una parte il lavoro che facciamo in Caritas viene rispettato, perché i risultati sono positivi e tangibili, dall’altra permane sempre e comunque un diffuso senso di diffidenza che ti fa temere che tutto quello che hai costruito possa cadere al primo piccolissimo errore e se da una parte dunque percepisci di dover lavorare in un contesto sociale fragile, dall’altra impari ad operare senza stress, rimettendoti alla volontà di Dio, come dicono da queste parti: Inshallah!
Ma come succede in tutti i contesti difficili, quando si parte per aiutare e portare un po’ di se stessi, poi si finisce con l’imparare dai tuoi assistiti: nuovi valori, nuovi punti di vista, nuove emozioni che ti fanno crescere umanamente e ridimensionano costantemente i paradigmi di quel mondo occidentale fortunato in cui siamo nati.

I miei bimbi (li considero tutti figli miei; bambini di strada per l’85% minori stranieri non accompagnati provenienti dall’Etiopia) dormono per strada o sulla spiaggia, non hanno una casa dove andare a dormire, o un letto dove riposare, figuriamoci le lenzuola dei supereroi o il lato invernale/estivo del materasso.
Sono fuggiti, scappati, emigrati o semplicemente venduti dalle loro famiglie che non hanno le capacità economiche per farli crescere. Bambini che a 5 anni vanno a chiedere l’elemosina ai semafori in maniera più o meno autonoma, bambini che hanno subito violenze fisiche e psicologiche di qualunque genere, bambini che a 8 anni girano già armati di lametta e taglierini per doversi difendere da altri bambini appena più grandi di loro. Bambini che a 15-18 anni conoscono già la prostituzione e che usano droghe di ogni sorta per poter accantonare temporaneamente la ragione mentre un uomo di mezza età abusa dei loro giovani corpi.

Ma nonostante tutto, questi bambini, quando hanno il tempo di essere ancora bambini, la mattina arrivano in Caritas pieni di energia e di gioia pronti a mettere a “soqquadro” la mia giornata, pronti ad essere bambini che vogliono giocare e divertirsi come è doveroso fare alla loro età, dimenticando o sopprimendo dentro di loro, tutte le difficoltà che hanno dovuto superare durante la notte.

Ed è per questo che i bambini che vengono in Caritas sono diventati anche dei maestri di vita: mi hanno insegnato a dare il giusto valore alle cose e agli oggetti, mi hanno mostrato la potenza dirompente di un sorriso sincero, e mi dimostrano quotidianamente quanto può essere prezioso ed efficace un gesto di affetto, di amore, di perdono, di fratellanza e di carità.

Mi hanno insegnato ad essere felice.

Certamente non sono tutte rose e fiori, e come in ogni relazione che si rispetti, ci sono dei momenti burrascosi in cui i bambini, soprattutto quando si sentono insoddisfatti del mio lavoro, decidono di esprimere la loro opinione scagliando pietre verso di me o verso gli uffici di Caritas. Ma proprio perché la nostra azione è supportata dai valori della fede cristiana, attraverso il perdono riesco a fargli capire che li amo e che non li abbandonerò; in fondo hanno solo bisogno di sentirsi amati e ci mettono alla prova per capire fino a che punto arriva il nostro amore nei loro confronti
Il mio lavoro qui non é semplicemente fare contabilità, gestire i donatori o occuparmi delle spese della struttura. Io credo di essere stata chiamata ad essere una “mamma” e a supportare, dare fiducia e amore a dei bambini che sono stati obbligati a diventare grandi troppo in fretta».

sabato 15 Febbraio 2020

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti