L'approfondimento

L’anno peggiore delle vittime in mare: un pozzo senza fondo

Geremia Acri
Geremia Acri
migranti in mare
migranti in mare
Intanto altre storie vengono cancellate, altri desideri spezzati, altre fughe rase al suolo. E chi ne è carnefice esce sempre con le mani pulite
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L’anno appena trascorso è stato piuttosto tragico per la questione relativa ai migranti. Tragico non solo perché il problema persiste, e pare lontano dal trovare una soluzione, ma perché i numeri peggiorano.

I dati sono preoccupanti: si parla di circa 2500 vittime nel Mediterraneo, secondo una stima di Medici Senza Frontiere. Il nostro teatro non è l’unico, anzi, fa da raccapricciante comparsa; i morti salgono infatti ad almeno 9mila se vi si aggiungono quelli tra Spagna, Senegal e Algeria; il peggior resoconto mai registrato.

Commentare certi fenomeni è complesso. La disumanità è talmente lampante che pare inutile sottolinearla, e se lo si fa si rischia comunque di essere additati come buonisti, il tutto mentre le parole scivolano al vento quando si è testimoni di altre vite andate in fumo per i nostri egoismi. C’è chi sull’altra costa non ci arriva, chi lo fa ma perde dei pezzi nel viaggio, chi invece riesce ad assaporare il sogno ma viene rispedito al mittente, perché l’etichetta “Noi non vi vogliamo” è ancora inesorabilmente ben salda negli occhi di chi accoglie.

E intanto altre storie vengono cancellate, altri desideri spezzati, altre fughe rase al suolo. E chi ne è carnefice esce sempre con le mani pulite, in quanto complesso sembra provarne la complicità. Diviene un becero gioco statistico e giuridico, come se avessimo deciso che l’elemento umano non è più importante, fa al più da sfondo a questa catastrofe silenziosa.

Per quei pochi che il sogno l’hanno raggiunto, la storia difficilmente è diversa. Tuttavia, la vicenda assume connotati diversi nella narrazione pubblica. Nei nostri contesti si sottolinea come non vi siano stati problemi particolari grazie ad un ottimo lavoro congiunto delle istituzioni. Ipotesi rassicurante: la verità è che si deve fare molto di più.

L’errore che non si deve commettere è quello di credere che un’eccezione rappresenti la regola. Dietro ad una positività apparente si nascondono storie di individui che sono martoriati dalla mancanza di una reale integrazione nel territorio. Costantemente diversi, continuamente esclusi, eternamente isolati. Limiti di una comunità che è stata mal abituata a vedere nell’altro una minaccia, ancor di più se questi ha caratteristiche fisiche o culturali dissimili. Le poche realtà che operano nei contesti reali di vita quotidiana rappresenterebbero un modello ideale, dove l’immigrato non viene solo accolto, ma presentato, ben voluto, con la severità di un genitore che insegna a vivere sapendo che con la sua guida quel bene gli verrà restituito.

Integrare, in questo senso, significa anche non togliere il posto a nessuno. È molto semplice far credere che l’immigrazione tolga risorse ai “locali”, quando semplicemente queste sono mal distribuite, o finiscono sempre nelle solite mani. C’è spazio per tutti, se si impara a star bene insieme ed arricchirsi in un ricambio continuo di sapere ed umano. Questo e non solo, perché c’è molto di più: integrare non vuol dire rendere uguale a noi, assorbire, ma accogliere le differenze in una prospettiva di condivisione e di unità. Significa fare spazio all’altro, rispettando e partendo da quello che è. La persona integrata non diventa come noi, ma uno di noi.

Nel processo di integrazione tutti cambiano: chi è accolto e chi accoglie. Cambiamo anche se dovessimo decidere non accogliere, perché diventiamo meno umani.

Al di là di tutto questo, le istituzioni finiscono spesso per delegare il compito a chi non sempre ha le possibilità per tenere in piedi un sistema già in difficoltà. Eppure, basterebbe così poco. Se certi interventi diventassero sistematici, una situazione regolare, anziché essere celebrata come straordinaria, verrebbe analizzata come normale per una città che funziona e i cui componenti vivono in armonia e sviluppo.

Al contrario, siamo qui a rendere straordinario il normale, mentre il male rimane presagio di dolore o scenario di morte, come successo anche all’inizio di questo nuovo anno, dove già si è registrato il primo naufragio, al largo della Tunisia. Altre 35 anime spente senza neanche il tempo di trovare luce, mentre nel nostro privilegio organizziamo conferenze per dirci che va tutto bene. L’ottimismo è figlio dell’intervento, non del caso. La vera integrazione sarà raggiunta solo quando avremo smesso di parlare di vittime salvabili o nuove povertà importate evitabili.

C’è spazio per tutti, dunque. Dovrebbe essercene meno per chi toglie posti, assecondando il potere della divisione.

venerdì 19 Gennaio 2024

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Luca
Luca
3 mesi fa

Una mia personale considerazione, la stampa i media la chiesa ci fa sentire in colpa x queste tragedie che avvengono nel mediterraneo come se solo il nostro paese è designato a salvare il mondo non vedo altra stessa solidarietà e corresponsabilità di nessun altro paese europeo , un silenzio assoluto ad esempio sul genocidio che sta avvenendo a Gaza non sono essere umani pure loro ??accogliere senza che ci sia un percorso di integrazione destabilizza il tessuto sociale ed economico crea disuguaglianze e mina la sicurezza, se alle belle parole e ai buoni propositi non seguono fatti si è poco credibili