L'approfondimento

L’Italia del futuro: un paese di musichette mentre fuori c’è la morte

Gabriele Losappio
da "Domenica In" all'Ariston - puntata di domenica 11 Febbraio 2024
Testimoni dell’ennesima prova, nonostante oggi possiamo vedere l’orrore con i nostri occhi: dagli errori non si impara, perché ciclicamente arriverà qualcuno a dire che chi li ha commessi aveva ragione
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In questo paese c’è un’indole che viene fuori ogni qualvolta se ne presenta l’occasione: ci si accorge dell’importanza di certi temi solo in alcuni momenti specifici, e Sanremo è il capostipite per eccellenza di questa strana dinastia della memoria corta.

Che il festival della canzone italiana fosse un accentratore di tematiche lo si sa sin dall’inizio dei tempi, e per certi versi è giusto così, perché la musica è reale come reale è tutto il resto che la circonda. E quindi l’Italia si scopre nella sua vera natura, quella più recente: lo stratagemma della censura.

Quello andato in scena domenica 11 febbraio ’24, all’indomani della fine della 74esima edizione, è stato senza molti dubbi uno degli spettacoli più atroci nella storia della tv pubblica, che di “pubblico” ha sempre avuto ben poco. Dapprima Dargen D’Amico che viene interrotto nella risposta brillante ad una domanda che a lui stesso era stata posta, e già qui c’è tanto di tragicomico. Un musicista che in poche frasi ha distrutto ogni becera e improduttiva politica antimigratoria portando la verità, questa sconosciuta a chi cerca di debellarla con perpetue falsità e oscenità disumane.

La punta dell’iceberg viene toccata nel momento in cui Mara Venier, su cui ci sarebbe poco da far polemica in quanto storica rappresentante di un sistema storicamente malato, legge il comunicato dell’a.d. Rai Roberto Sergio, in seguito all’appello di Ghali “Stop al genocidio”, in cui si condannavano le parole dell’artista italiano (e anche qui, a quanto pare specificarne la nazionalità crea scompiglio a più di qualcuno) e si esprimeva solidarietà al popolo israeliano. Parole mirate, oculate, intenzionalmente schierate dalla parte dell’oppressore per mettere a tacere ogni forma di dissenso, facendo diventare il discorso divisorio.

È il classico trucco della politica odierna, che assomiglia sempre più ad una partita di Risiko che non ad una seriosa attività di gestione del paese: rendere divisivo un tema che non dovrebbe esserlo, scatenare l’ira di una delle parti, solitamente quella che opprime perché più semplice risulterà mantenere il potere, demonizzare ogni voce contraria portandola alla gogna mediatica o, più direttamente, alla totale censura.

Lo stesso destino è già toccato a presentatori, inviati, storici simboli di magistrali inchieste giornalistiche volte a scavare nel fosso della corruzione di questo paese che non riesce più ad andare avanti; anzi, probabilmente ha invertito la rotta verso il più totale regresso.

Condannare gli eventi del 7 ottobre è giusto, anzi doveroso, se realmente si vuol fare una valutazione super partes: tuttavia, si è platealmente deciso di ignorare le decine di migliaia di morti nei mesi successivi, perché a tanti la rappresentanza palestinese non va a genio. Il più grande paradosso della nostra epoca è che siamo testimoni di tutto, ma difensori delle menzogne: sui social girano quotidianamente video di persone mutilate, messe in fila e spogliate per poi essere uccise, assassini travestiti da civili per entrare in ospedale e compiere un massacro, medici che operano in centri senza nessuno strumento adatto. E ancora, il prima e il dopo nei luoghi della guerra, le parole stesse dei ministri israeliani che mai si sono nascosti nel loro voler colonizzare un territorio non proprio anche a costo di calpestare i corpi delle vittime. Per finire, la voce della bambina disperata ritrovata poi morta, altro episodio vergognoso in cui le testate principali hanno deciso con coscienza di omettere la nazionalità di chi è stata assassinata e quella di chi le ha tolto vita, speranze e sogni di un domani migliore. Ma tutto tace, e quando si può vedere tutto, il silenzio diventa ancora più assordante.

Il Paese è qui, in tutto il suo splendore neo-medievale. Forse è vero quello che si diceva in Boris: «Questa è l’Italia del futuro: un paese di musichette mentre fuori c’è la morte». Quello a cui abbiamo assistito è certamente un’altra delle pagine più cupe; se prima la censura e il revisionismo storico erano più nascoste, domenica 11 febbraio un cantante è stato messo a tacere, in diretta nazionale, e come lui tutte le vittime.

E se provoca tanto sbigottimento chiamarlo “genocidio”, chiamatelo pure “sterminio” o “carneficina”, o magari “pulizia etnica”, per chi quelle vittime le crea. Siamo testimoni dell’ennesima prova, quella che continua ad esserci nonostante oggi possiamo vedere l’orrore con i nostri occhi: dagli errori non si impara, perché ciclicamente arriverà qualcuno a dire che chi li ha commessi aveva ragione.

Forse, un giorno, organizzeremo altre giornate della memoria, del ricordo, della liberazione. Ma il narcisismo dell’uomo resterà scolpito nei manuali, e la commemorazione continuerà ad essere parente stretta dell’ipocrisia.

lunedì 12 Febbraio 2024

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Giuseppe Lambo
Giuseppe Lambo
2 mesi fa

Quello che lascia stupefatti è che ormai da molto, troppo tempo, quelle che erano le vittime sono diventate inflessibili carnefici e che in pochi hanno il coraggio di dirlo, perchè altrimenti vengono tacciati di essere antisemiti.

Michy
Michy
2 mesi fa

Finalmente un po’ di luce in questa nebbia opprimente!

AVAST
AVAST
2 mesi fa

PIENAMENTE D’ACCORDO

Giuseppe
Giuseppe
2 mesi fa

Nelle tv nessuno ricorda più cosa è accaduto in quel territorio negli ultimi 75 anni.